L’Isis utilizza la rete per pianificare stragi e per reclutare nuovi attentatori, e proprio per fronteggiare la minaccia del terrorismo, l’Europa chiede sempre più controlli sul web.
Dobbiamo quindi aspettarci che qualche funzionario legga la nostra posta elettronica e, magari, pure le conversazioni sulle console dei videogiochi?
« Dopo l’attentato alla rivista Charlie Hebdo, a gennaio 2015, i governi europei hanno deciso di prolungare i tempi di conservazione dei metadati online e telefonici da 6 mesi a due anni. Significa che non viene archiviato cosa scriviamo sul web o cosa diciamo al cellulare, ma con chi, quando e per quanto tempo lo facciamo» spiega Giovanni Sartor, ordinario di informatica giuridica e direttore del master di Diritto delle nuove tecnologie all’università di Bologna.
Questo significherebbe rinunciare alla nostra privacy?
Con i metadati si può risalire ai contatti del sospettato quando ancora non lo era e ripercorrere la sua storia.
La polizia può indagare sui nostri dati pubblici, ovvero i nostri profili sui social e sui blog, ma solo un giudice può autorizzare le intercettazioni delle e-mail, delle chat o ad accedere agli archivi del nostro pc personale.
Di recente il ministro Orlando ha parlato di controlli su tutti i tipi di messaggi elettronici, console di videogame compresi, per individuare e bloccare potenziali criminali. Occorrerà, però, sempre l’autorizzazione del giudice.
Certo, questo potrebbe violare un po’ la nostra privacy ma in momento storico del genere, tutti i cittadini dovrebbero mettersi a disposizione dello Stato per combattere e sconfiggere il terrorismo.